Uomini illustri in carcere: Cesare Pavese e le sproporzionate muraglie
Febbraio 3, 2024 | by avvocatolusso.com
Il 27 agosto 1950 moriva suicida Cesare Pavese.
Lo scrittore fu accusato di antifascismo e condannato al confino tra l’agosto del 1935 e la primavera del 1936: venne imprigionato prima nel carcere di Torino, poi in quello di Roma, per essere infine condannato a tre anni di confino in Calabria.
L’esperienza carceraria lo segnò profondamente; il romanzo breve “Il Carcere” è, infatti, di ispirazione autobiografica.
Leggiamo nel libro di Pavese: “Ogni giorno entra qualcuno nel carcere, ogni giorno su qualcuno si chiudono le quattro pareti e comincia la vita remota e angosciosa dell’isolamento. Stefano decise di pensare a Giannino in questo modo. Teste bruciate come lui sudici cenci come quei villani, ogni giorno entravano a popolare di carne inquieta e di pensieri insonni le sproporzionate muraglie“.
Sproporzionate, tuttavia, ancora oggi, sono solo le muraglie e non anche lo spazio nelle celle che non dovrebbe essere inferiore a tre metri quadrati.
L’Italia, nel 2013, è stata condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo proprio per sovraffollamento carcerario (c.d. sentenza Torreggiani), costringendo il governo a introdurre nell’ordinamento penitenziario l’art. 35 ter, che disciplina due tipologie di rimedi specificamente diretti a riparare il pregiudizio (con riduzione di pena e/o risarcimento) derivante a detenuti ed internati da condizioni detentive contrarie all’art. 3 CEDU: “1. Quando il pregiudizio di cui all’articolo 69 comma 6, lett. b), consiste, per un periodo di tempo non inferiore ai quindici giorni, in condizioni di detenzione tali da violare l’articolo 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, su istanza presentata dal detenuto, personalmente ovvero tramite difensore munito di procura speciale, il magistrato di sorveglianza dispone, a titolo di risarcimento del danno, una riduzione della pena detentiva ancora da espiare pari, nella durata, a un giorno per ogni dieci durante il quale il richiedente ha subito il pregiudizio. 2. Quando il periodo di pena ancora da espiare è tale da non consentire la detrazione dell’intera misura percentuale di cui al comma 1, il magistrato di sorveglianza liquida altresì al richiedente, in relazione al residuo periodo e a titolo di risarcimento del danno, una somma di denaro pari a euro 8,00 per ciascuna giornata nella quale questi ha subito il pregiudizio. Il magistrato di sorveglianza provvede allo stesso modo nel caso in cui il periodo di detenzione espiato in condizioni non conformi ai criteri di cui all’articolo 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali sia stato inferiore ai quindici giorni. 3. Coloro che hanno subito il pregiudizio di cui al comma 1, in stato di custodia cautelare in carcere non computabile nella determinazione della pena da espiare ovvero coloro che hanno terminato di espiare la pena detentiva in carcere possono proporre azione, personalmente ovvero tramite difensore munito di procura speciale, di fronte al tribunale del capoluogo del distretto nel cui territorio hanno la residenza. L’azione deve essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla cessazione dello stato di detenzione o della custodia cautelare in carcere. Il tribunale decide in composizione monocratica nelle forme di cui agli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile. Il decreto che definisce il procedimento non è soggetto a reclamo. Il risarcimento del danno è liquidato nella misura prevista dal comma 2″.
Alla fine la Cassazione (Cass. Sez. Unite, sentenza n. 6551/2021) pone fine alla questione sui metri effettivi di cella e sui “mobili” e “arredi” che consentano il movimento dei carcerati con la valutazione dei fattori compensativi: “i fattori compensativi costituiti dalla breve durata della detenzione, dalle dignitose condizioni carcerarie, dalla sufficiente libertà di movimento al di fuori della cella mediante lo svolgimento di adeguate attività, se ricorrono congiuntamente, possono permettere di superare la presunzione di violazione dell’art. 3 CEDU derivante dalla disponibilità nella cella collettiva di uno spazio minimo individuale inferiore a tre metri quadrati; nel caso di disponibilità di uno spazio individuale fra i tre e i quattro metri quadrati, i predetti fattori compensativi, unitamente ad altri di carattere negativo, concorrono alla valutazione unitaria delle condizioni di detenzione richiesta in relazione all’istanza presentata ai sensi dell’art. 35 ter ord. pen.“.
Restano, tuttavia, le sproporzionate muraglie.
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